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Benvenuto hospice Ma c’è da fidarsi?

Il governo ha stanziato trecento miliardi per la loro costruzione. Una svolta che metterà fine al calvario di migliaia di famiglie.

di Stefania Olivieri

Terapie spesso inadeguate, sostengo morale o psicologico quasi inesistente, strutture pubbliche carenti: il panorama italiano dell?assistenza ai malati oncologici in fase terminale offre un quadro tutt?altro che rassicurante. Uno scenario che pare finalmente destinato a mutare dopo l?approvazione della legge 39 del febbraio 1999 e lo stanziamento di 300 miliardi di lire per la creazione di centri per le cure, sul modello degli hospice anglosassoni. Il provvedimento, trasmesso alla Conferenza Stato-Regione per il parere di merito, dà il via libera alla creazione di 2200 posti letto all?interno di strutture che oltre alle terapie necessarie forniscono un?assistenza globale, anche a livello psicologico, al paziente e a i suoi familiari. Una legge che potrebbe rappresentare una svolta per le cure palliative in Italia, ma secondo alcune associazioni è ancora priva di un elemento fondamentale: l?istituzione di un organismo di controllo che verifichi l?applicazione di standard di qualità validi per tutte le strutture hospice. L?allarme arriva dal Tribunale per i diritti del Malato e Antea associazione, preoccupati del fatto che, allettati dalla prospettiva di congrui finanziamenti, tentino di occuparsi di cure palliative soggetti o strutture che non se ne sono mai interessati prima e, soprattutto, non hanno la competenza per farlo. «Vogliamo evitare che si crei l?opportunità per chi potrebbe entrare sul mercato con fini solo speculativi con evidenti inefficienze e incapacità professionali», afferma Cristina Guaraldo, responsabile del servizio Pit Salute del Tribunale. «Ci arrivano segnalazioni continue riguardanti le dimissioni forzate dagli ospedali e le precarie condizioni di assistenza ai malati terminali. Ci si trova tutti i giorni a dover affrontare la disperazione di chi si trova del tutto impreparato di fronte alla quantità di questioni pratiche legate alla gestione di un malato terminale». In risposta alle esigenze di malati e familiari, il Tribunale del Malato e Antea associazione lanciano una proposta concreta: incaricare la Commissione ministeriale per le cure palliative di fungere da garante super partes per la definizione di linee guida per la medicina palliativa e di requisiti e standard severi di qualità per l’erogazione dell’assistenza domiciliare e la gestione degli hospice. Non solo. Per attuare e verificare l?applicazione delle linee guida, la Commissione dovrebbe avvalersi di un Comitato istituito in ogni Regione al quale partecipino un rappresentate dell?assessorato alla Sanità e alla Formazione, rappresentanti delle Asl, delle associazioni per le cure palliative ed anche dei cittadini. «Non esiste un registro dei tumori in Italia, non sono stati definiti parametri di qualità che tutti devono rispettare, ma sono un dato di fatto le migliaia di pazienti che chiedono cure adeguate e un?assistenza preparata per la fase terminale della loro malattia», aggiunge Guaraldo. «Non si può rischiare che strutture non qualificate approfittino degli stanziamenti del Ministero senza che vi sia alcun reale beneficio per i cittadini». E in attesa che le proposte diventino progetti concreti il Tribunale per i diritti del Malato ha effettuato una mappatura delle unità operative che offrono assistenza ai malati terminali. Assente ingiustificato il settore pubblico, il risultato del censimento è un elenco di oltre settanta enti non profit o associazioni di volontariato. «Senza formulare giudizi di valore o graduatorie di merito abbiamo voluto effettuare una mappatura che ci consente di informare e fornire a chi ce lo richiede almeno una possibilità di aiuto» spiega Cristina Guaraldo. «Tutto questo nell?attesa che, entrata a regime a nuova legge, vengano istituite strutture numericamente adeguate al fabbisogno nazionale». Non sono neanche una decina, secondo le fonti del Tribunale per i diritti del Malato, infatti, le strutture hospice italiane che applicano ai pazienti cure palliative e terapie del dolore, oltre che il sostegno psicologico esteso anche ai familiari degli ammalati. Una pillola contro il rischio dialisi Una pillola al giorno e il rischio di finire in dialisi per problemi di insufficienza renale diventa un antico ricordo. È la sensazionale scoperta di un pool di medici italiani dell?Istituto Mario Negri di Bergamo. Che negli ultimi quattro anni ha testato su 352 pazienti il Ramipril, un medicinale normalmente usato per tenere sotto controllo la pressione del sangue, e oggi rende noti i risultati della sperimentazione: riduzione del 50% del rischio di dialisi in 166 pazienti non diabetici, stabilizzazione della malattia dopo tre anni di cure e miglioramento della funzione renale in un terzo dei casi. «Un successo che fino a qualche tempo si pensava impossibile», spiega Giuseppe Remuzzi. Il nefrologo che ha guidato la sperimentazione del Ramipril e potrebbe passare alla storia come lo scopritore della ?pillola anti-dialisi?. Una cura preventiva per tutti quei pazienti i cui reni non riescono più a trattenere le proteine e, annunciano dall?America, anche per chi soffre di diabete. A Chicago il dottor Edward Lewis ha sperimentato il farmaco per nove anni su 8 diabetici: in sei la malattia si è bloccata e in due è addirittura regredita.


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